La storia del Test di Italiano

E’ il 10 Dicembre del 2010. Il decreto viene pubblicato in gazzetta, “cavolo! lo vogliono fare davvero?!?!” Sembra incredibile , ma in questo paese e con certi governi sono proprio le cose più assurde che diventano reali.

Il test di lingua italiana per chi richiede la carta di soggiorno, come se non bastassero i requisiti di reddito, i requisiti di alloggio…adesso pure il test.

Tutto è già deciso , era nel pacchetto sicurezza,  si parte.

Ogni cittadino extracomunitario maggiore di 14 anni che faccia richiesta di carta di soggiorno dopo il 10 Dicembre 2010 è obbligato a sostenere un test di Italiano livello A2. Il rilascio della carta di soggiorno sarà subordinato al superamento dell’esame di italiano.

La gestione del provvedimento viene fatta all’italiana, si predispone l’ostacolo all’accesso alla carta e non si danno i mezzi per poterlo superare. Infatti il Ministero predispone i Test, ma non ci sono decreti o fondi stanziati per aumentare l’offerta di corsi di lingua italiana pubblici e gratuiti.

Pensate ad una badante che lavora 24 ore al giorno praticamente 7 giorni su 7 ,  la lingua la conosce , tant’è che lavora senza problemi, la certificazione A2 però richiede un corso, lo deve cercare e trovare il tempo di frequentarlo.

Al di là del fatto che potrebbe anche trattarsi di una richiesta in qualche modo ragionevole, sono sicuramente discutibili le modalità di messa in opera del progetto.

Il tutto viene scaricato su i C.T.P. delle varie provincie, che oltre a gestire i corsi di Italiano A2 devono anche progettare e organizzare le sessioni di esame per i test di italiano per la carta di soggiorno. Ricevendo in cambio un rimborso spese, per sessioni di esame sovraffollate che rendono discutibili anche i risultati ottenuti.

Nessuna esenzione è prevista per gli over 65. Molti genitori ricongiunti non potranno mai accedere alla carta di soggiorno ( e alle prestazioni assistenziali che concede ) , proprio perché non supereranno mai un test di Italiano A2.

Immaginatevi a 65 anni in Pakistan, quante possibilità avete di superare una prova scritta di Urdu????

Sembrerebbe che questa cosa non sia stata fatta proprio a casaccio, le carte di soggiorno per gli over 65 infatti sono drasticamente calate ( almeno da quello che ho potuto vedere dal mio piccolo osservatorio).

Concludo questa breve storia pubblicando una lettera di dimissioni di un coordinatore del CTP di La Spezia (pubblicata qualche tempo fa su Melting Pot Europa ), che poco dopo l’entrata in vigore del test ha deciso di lasciare il suo ruolo per le motivazioni indicate qui sotto. Poiché le condivido al 100% e lui le scrive molto meglio , copio e incollo.

Alla dirigente scolastica del CTP Alfieri – ISA 3
e per conoscenza alla direzione scolastica regionale
al prefetto della Spezia
al provveditore agli Studi della Spezia

Gentili signori,
con questa lettera mi dimetto dalla commissione della mia scuola che ha il compito di preparare, far svolgere, correggere il “test di italiano”, cioè la prova che le persone immigrate devono superare per ottenere il permesso di soggiorno“ lungo“ secondo il decreto del 4.6.10.

Vi spiego il motivo…

Mi ha fatto piacere che il ministro abbia dato questo incarico alle scuole pubbliche ma ho avuto subito dubbi su alcune sue scelte. Prima di tutto mi è sembrato assurdo che al governo non interessi che la persona immigrata riesca o no a dialogare visto che non è previsto un colloquio. I candidati sono però costretti a svolgere una prova scritta, un’abilità che in lingua straniera si acquisisce in modo soddisfacente in molti anni di scuola. Un altro dei tantissimi ostacoli di una vita “a punti“ che sarebbe interessante vedere applicata ai cittadini italiani: il contratto di affitto registrato, il lavoro in regola, nessuna sanzione a carico…

Eppure all’inizio ho pensato che il test fosse un passaggio a suo modo ragionevole e che si trattasse di una cosa seria. Mi sono dovuto ricredere.
La posta in gioco per gli immigrati è alta, il permesso “lungo” dà loro finalmente la certezza di rimanere in Italia dopo anni di vita e lavoro nel nostro paese. Il test perciò è stato attentamente studiato e i CTP devono osservare molte delle regole previste per gli esami di lingua. Come responsabile per le certificazioni della Società Dante Alighieri ho esperienza diretta di sessioni di esame e ne conosco le regole. Ho contribuito a preparare con cura le prime due edizioni del test.

In quelle occasioni ho visto persone analfabete, in Italia da molti anni, che si sono presentate all’esame ancora in abiti da lavoro. Parlavano perfettamente la mia lingua ma per qualche ragione – la povertà, prima di tutto – non erano mai andati a scuola neanche nel loro paese. Li ho visti allungare il collo per tentare di copiare le risposte scritte dall’uomo o dalla donna seduti vicino a loro: superare il test è troppo importante. Ho assistito ai loro scatti d’ira per quella che sentivano come un’altra ingiustizia. Mi sono sentito identificato, per la prima volta in vita mia, come un nemico dalle persone che stavano sedute sui banchi davanti a me. Ho cominciato a pensare che non ero nel ruolo giusto.

Poi ho riletto più attentamente le disposizioni economiche che prevedono la retribuzione del personale della scuola ogni 40 persone esaminate. Non le avevo considerate con attenzione, e ho sbagliato. Per spiegarne il significato descriverò quello che è successo nella scuola dove lavoro.

Le due sessioni d’esame di febbraio e aprile tenute presso il CTP Alfieri si sono svolte nell’aula più grande dell’istituto, dotata di impianto di amplificazione e dello spazio necessario a ospitare 20/25 persone nel modo previsto per esami e concorsi. Non credo di sbagliare nel dire che quasi tutte le scuole si trovano nella stessa condizione. La conseguenza è che il personale della scuola per occuparsi di questa attività straordinaria sarà pagato ogni due sessioni di esame con una cifra umiliante che, per quanto mi riguarda, otterrei facilmente con poche ore di lezioni private se avessi l’abitudine di darle.

Esiste però la possibilità di organizzare la stessa sessione in più giornate. Questo è in aperto contrasto con tutte le regole previste per esami, concorsi e specialmente certificazioni in lingua a cui il ministro ha voluto ispirarsi.

A questo punto ci sono due possibilità.
O il test non è una cosa seria e allora va bene mettere 40 persone una addosso all’altra, fargli dare l’esame in ore e giorni differenti in modo tale che possano tranquillamente passarsi le soluzioni degli esercizi, preparare materiali scadenti e ammettere in aula candidati con parenti al seguito (so quello che dico). Ma allora che senso ha questo prova? Dategliela direttamente la carta di soggiorno, se la meritano.

Oppure il test è una cosa seria in un paese che riesce a essere serio, anzi inflessibile solo con i poveri. Ma allora materiali, spazi, procedure devono essere rigorose e il relativo lavoro adeguatamente retribuito. Non mi pare che le cose stiano in questi termini.

Insomma non mi tornano i conti, non tanto quelli economici ma quelli umani e professionali.

Mi sono convinto che il test d’italiano, per come è stato pensato e inserito nel cosiddetto “pacchetto sicurezza“, non corrisponde alla mia idea di accoglienza e di integrazione.

Mi scuso per averlo capito in ritardo, ringrazio per la pazienza e cordialmente saluto

La Spezia, 14.04.2011
Marco Cattaruzza – docente coordinatore del CTP Alfieri-ISA 3 – La Spezia

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